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IUAV (Istituto Universitario Architettura Venezia) DPA (Dipartimento di Progettazione Architettonica)

IUAV-DPA‚ Consiglio Dipartimento del 9 maggio 1990

La sfida del futuro

Giuseppe Grazzini

Ho trovato estremamente interessante il documento presentato dal Prof. Burelli relativo alla nuova Facoltà di Architettura anche se il mio troppo recente approdo al Dipartimento e la mia estraneità al mondo dell’Architettura non mi permettono di comprendere appieno l’intricata storia della nascita del Dipartimento stesso.
Tuttavia sono rimasto colpito forse proprio perché “estraneo”, dalle conclusioni che pur riportando l’Architetto al concreto costruire mi sembrano legate ad una “idea del mondo poco attuale.
Nel documento si percorre rapidamente un cammino segnato dall’evoluzione dell’idea di Architettura che hanno gli Architetti mentre le mie posizioni provengono da quella che ne hanno i non addetti ai lavori e che penso di poter così riassumere:
“L’Architettura come Arte della organizzazione degli spazi per la vita dell’uomo”.
Partendo da questa idea trovo dunque limitativo ridurre il tempo alle discipline della storia e lo spazio alle discipline del progetto urbano, a meno di non darne una interpretazione diversa, di cui però non sento l’afflato.
Come già ebbi modo di dire in un Consiglio di Facoltà l’impressione che ho ricevuto dell’Architettura da questo Istituto é quella di un’arte statica, nel senso di essere legata agli spazi immobili delimitati dal costruito, che non incorpora la luce, l’acqua, l’aria come elementi dell’architettura stessa.
Tanto più si pone questo problema se proiettiamo verso il futuro questa arte dell’organizzazione degli spazi, un futuro denso di incognite che pone il problema non della sopravvivenza dell’opera, ma dell’uomo.
Dunque vedrei la necessità di una lettura del passato e di una metodologia di progettazione più aperte al legame sempre esistito tra la struttura e l’attività dell’uomo e della “natura”.
Tutti i campi delle scienze sono oggi spazzati dal vento del dubbio, molto più che nel passato, la necessità di affrontare finalmente i fenomeni non lineari porta ad ammettere l’impredicibilità di molti fenomeni, mette in crisi il principio di causalità ad un livello macroscopico e non più solo atomico.
Per tentare la razionalizzazione del mondo nascono le teorie del caos, la termodinamica affronta finalmente i fenomeni irreversibili.
Può in questo quadro l’Architettura mantenere i vecchi schemi?
Possono essi permettere di affrontare i problemi della scarsità delle risorse, dell’inquinamento, delle modifiche sociali che essi apportano ed apporteranno su scala planetaria e tantopiù locale?
Più che una sfida per durare“ penso che l’architettura debba affrontare la sfida dell’entropia, per usare un linguaggio oggi diffusosi al di fuori del campo ristretto di chi si occupa di termodinamica.
Già negli ultimi anni dello scorso secolo il concetto di entropia ha provocato notevoli dibattiti anche a livello filosofico: pareva impossibile che una funzione termodinamica potesse implicare conseguenze come la morte dell’universo. Per molti anni tale concetto è stato utilizzato in ambiti ristretti ed addirittura rifiutato da tutti coloro che si occupavano di biologia. Da un lato infatti ne era stata eccessivamente estesa la portata, dall’altro ci si rifiutava di inquadrare la vita nell’ambito dei fenomeni fisici. Concretamente, senza prendere in considerazione aspetti filosofici, l’ entropia prodotta è un ottimo indice della capacità e della velocità di utilizzazione delle risorse da parte di un sistema, oltre che della sua capacità di inquinare. Intendendo come inquinamento la riduzione di utilizzabilità di una risorsa.
In effetti il mantenimento della vita umana sul pianeta sarà legato alla capacità dell’uomo di inserirsi nel flusso di negentropia proveniente dal sole, utilizzandolo al massimo senza dimenticare di essere una specie che per quasi due milioni di anni si è evoluta in parallelo ad altre specie, in un sistema costruito assieme ad esse.
Per quanto brevi, i tempi di evoluzione dell’uomo non sono rapidi come i mutamenti che egli ha imposto alla biosfera.
L’architettura non è estranea a questi mutamenti e dovrà quindi fornirsi degli strumenti adatti a ricondurli ad un ritmo sostenibile dalla biosfera stessa.
Ritengo che la termodinamica abbia già qualche strumento utilizzabile e conseguentemente che sia auspicabile una interazione forte con l’architettura.
In particolare il concetto termodinamico di sistema aperto, che permette di analizzare i flussi sia energetici che materiali in ingresso ed uscita da una entità a piacere definita, permetterebbe di studiare ed affrontare in modo integrato rispetto ai problemi suesposti almeno alcuni dei sistemi costruiti e costruibili di cui si occupa l’architettura.