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FONDAZIONE BALDUCCI – Il futuro della democrazia

Badia Fiesolana, 2 maggio 2019

DEMOCRAZIA E TECNOLOGIA

Giuseppe Grazzini

Democrazia: forma di governo in cui la sovranità risiede nel popolo che la esercita per mezzo delle persone e degli organi che elegge a rappresentarlo [Zingarelli, 1994].

Tecnologia: insieme delle tecniche usate per la trasformazione dell’ambiente circostante.

Sappiamo che gli strumenti sono usati anche dagli animali, ma l’uomo solo ha organizzato la società per l’uso di organi esosomatici a livello tale che questi sono divenuti fondamentali per la sua sopravvivenza, forse non come specie, ma sicuramente per la maggioranza degli individui che oggi popolano la terra. La tecnologia intesa come capacità di organizzazione delle tecniche, materiali e sociali, condiziona pesantemente la struttura delle società.

La crescita della capacità tecnologica legata all’utilizzo delle fonti energetiche fossili diede la possibilità di aumentare la disponibilità di cibo e vestiari alimentando, a partire dalla metà del 1700, una crescita demografica esponenziale che solo ora tende a rallentare. Ma la rapida crescita richiedeva capacità maggiori di comunicazione per addestrare i lavoratori alle nuove tecniche ed alla nuova organizzazione del lavoro; l’istruzione cominciò a diffondersi prima della democrazia modernamente intesa, per passare informazione.

Il significato letterale del termine informare è, nella lingua italiana, quello di mettere in forma, dare forma. Tutte le volte che produciamo un oggetto, diamo forma ad una materia prima altrimenti non utilizzabile, aggiungiamo informazione ad un materiale che solo così diviene significativo nei nostri rapporti con il mondo e gli uomini. Della creta diviene una brocca solo attraverso alcune fasi di lavoro, tornitura, cottura, che dando forma e struttura alla materia prima permettono un uso rispondente allo scopo per cui essa è stata ideata.

Se produrre significa inglobare informazione nella materia, allora molte trasformazioni dei rapporti sociali possono essere lette in termini di lotta per il controllo dell’informazione e l’innovazione tecnologica non è altro che la capacità di utilizzare informazione proveniente da chi lavora o dall’ambiente per modificare le modalità di produzione.

Se la sgranatrice di Whitney del 1793 e la “giannetta filatrice” del 1764 rappresentano l’applicazione dell’intelligenza creatrice alla soluzione del problema della sfibratura del cotone e della realizzazione del filo per tessere, tanto da dare inizio alla rivoluzione industriale permettendo produzioni di cotone e di filo che per la prima volta liberarono l’umanità dalla scarsità di tessuto per gli abiti, la successiva realizzazione dei telai meccanici introduce già una diversa sorgente di informazione, l’energia [Derry, Williams, 1977].

I telai meccanici avevano necessità di più energia di quella sviluppabile dall’operaio tessitore e quindi richiesero prima l’utilizzazione industriale dell’energia dell’acqua e poi di quella del vapore imbrigliata con efficienza da Watt nel 1776. L’energia prelevata dal combustibile è un modo di utilizzare l’informazione chimica in esso contenuta, ma richiedeva ulteriori conoscenze ed elevati investimenti, per la prima volta la produzione poté affrancarsi dalla conoscenza specifica e dall’energia fornite dal singolo lavoratore. Allo stesso tempo il singolo che non avesse disponibilità di capitali da investire non poteva accumulare sufficiente informazione da dare inizio alla produzione stessa. La semplificazione e la standardizzazione dei compiti degli operai permise di addestrarli rapidamente facilitando l’intercambiabilità, e conseguentemente svalutando le competenze. L’informazione posseduta dall’operatore era stata inglobata nella “fabbrica” , intesa come sistema di macchine e conoscenze di progetto e gestione.

Il novecento vide la nascita delle dittature e del Fordismo, che non fu solo un nuovo modo di organizzare la produzione, ma forse ancor più, un diverso modo di vedere il lavoratore che, col suo reddito, diventa infine “il consumatore”, capace di acquistare il prodotto del proprio lavoro dopo esserne stato espropriato, in una lettura marxiana. Il consumatore però opera solo nel libero mercato, in cui egli esplica la propria libertà conferitagli da un regime democratico.

Il libero mercato “è costituito da un gruppo di acquirenti e di venditori in contatto tra loro in modo tale che le transazioni al suo interno fra due qualsiasi operatori influenzano le condizioni alle quali operano gli altri membri…” [Seldon, Pennance, 1979]. Un mercato perfetto richiede quindi una perfetta informazione e la libertà di ciascuno di operare come più gli aggrada, anche uscendo dal mercato stesso.

Un mercato imperfetto, per disuguaglianza tra i partecipanti, si trasforma spesso in oligopolio, dove pochi partecipanti riescono ad imporre i propri prezzi e prodotti.

Il libero mercato non è uno stato di natura, ma una invenzione culturale.

La Seconda Rivoluzione Industriale, quella dell’informazione, non ha cambiato i rapporti.

Nel corso degli anni, fino circa al 1960, si era passati dalla fabbrica in cui entravano le materie prime, a quella a cui arrivavano dei semilavorati, ma la fabbrica era ancora il luogo di produzione nel senso di luogo in cui si dava forma alle risorse per ottenere un determinato prodotto. Già negli anni settanta il miglioramento delle comunicazioni aveva portato ad un notevole snellimento delle “fabbriche” con una utilizzazione sempre maggiore di subfornitori che facevano arrivare componenti pre-assemblati. Contemporaneamente le aziende potevano evitare immobilizzo di capitale e problemi di personale, scaricandoli in parte sui subfornitori. In particolare, per seguire le variazioni della richiesta si dimostrò più comodo variare semplicemente l’entità degli acquisti esterni piuttosto che il numero dei lavoratori.

L’informatica con le sue tecnologie permette di scambiare elevate quantità di informazione; si presta quindi ad affrontare i problemi di comunicazione delle aziende, anche lungo linee diverse da quelle della automazione delle linee di produzione.

La comunicazione garantisce la definizione precisa dei livelli qualitativi, la rispondenza delle quantità ed i costi. I trasporti che i componenti arrivino.

Ancora per tutti gli anni settanta però si pensava che la fabbrica del futuro sarebbe stata robotizzata ed automatica facendo sorgere domande sull’evoluzione del rapporto di lavoro [Leontieff, 1982]. I crescenti successi dell’informatica applicata al settore sembravano promettere linee di produzione completamente automatiche e flessibili, più flessibili di qualunque altra che utilizzasse l’operatore umano. Capaci infatti di reggere ritmi di lavoro altissimi senza interruzione, ma anche di variare il prodotto, adattandosi alle diverse richieste.

In effetti oggi abbiamo macchine, l’hardware, con enormi capacità di calcolo e gestione dei segnali che possono trasportare l’informazione, ma questa richiede che essi siano interpretabili, cioè che abbiano significato. Questo senso è fornito dai programmi che gestiscono le macchine di calcolo, il software, i cosiddetti algoritmi. Oggi non siamo capaci di sviluppare programmi affidabili per sistemi al di sopra di determinati livelli di complessità, tanto che questo è stato uno degli scogli su cui si è arenato il programma di guerre stellari di Reagan, dato che è impossibile sviluppare un software che possa garantire la risposta e la precisione richiesti da quel progetto [Lin, 1986].

La strada che attualmente viene battuta per la gestione di sistemi complessi è più quella di macchine capaci di imparare dall’esperienza, la cosiddetta AI (Artificial Intelligence) ma comunque è una linea di sviluppo divergente da quella della fabbrica automatica. Essa può più facilmente condurre alla realizzazione di robot sul tipo di quelli che appaiono nei film della saga di guerre stellari, piuttosto che alla fabbrica automatica.

Certo l’informatica ha influito molto sul modo di progettare, ma dal punto di vista produttivo ha soprattutto portato ad un diverso tipo di organizzazione.

I settori su cui invece ha avuto ed avrà ripercussioni pesanti anche in termini occupazionali, finché non si troveranno nuovi usi e quindi nuove possibilità di lavoro, sono quelli in cui gli operatori avevano il compito di gestire l’informazione, cioè il ceto impiegatizio nelle diverse amministrazioni, ai progettisti e disegnatori, a chi esegue materialmente i calcoli di progetto, agli insegnanti, tutti operatori che si trovano di fronte un concorrente capace di lavorare di più e più rapidamente, non sempre meglio.

La possibilità di scambiare facilmente informazione ha accentuato la parcellizzazione del sapere, con individui che sono sempre più specializzati in settori sempre più ristretti; così finiscono fuori da un mercato che richiede scambio di informazioni e conoscenze paritarie. La conoscenza specialistica rischia di renderci schiavi di chi controlla le reti di scambio nello stesso momento in cui ci fa sentire unici ed importanti.

Il timore che i robot e l’AI riducano i posti di lavoro disponibili è forse eccessivo, dato che tali sistemi richiedono elevati investimenti e consumano energia, quest’ultima sempre più preziosa in considerazione dei cambiamenti climatici. Tuttavia si lamenta spesso che in Italia non sia sufficientemente diffusa l’AI nell’industria, la cosiddetta industria 4.0, non considerando quanto sopra detto, né le possibili ricadute sulle condizioni di lavoro che non è sicuro migliorino.

“La connessione perenne e l’accessibilità estesa del lavoro 4.0 non significano automaticamente maggiore libertà, possono anzi generare una rarefazione della sfera pubblica e a sua volta incrementare la desoggettivizzazione e la depoliticizzazione già in atto….. Di fronte allo scenario del lavoro 4.0, quando il padrone è un algoritmo e i colleghi sono robot sorge perfino la domanda se sia meglio parlare, piuttosto che di fine del lavoro, di ritorno della schiavitù” [Pennacchi 2018].

Il controllo dei sistemi di comunicazione è diventato oggi fondamentale, come i vari scandali che si susseguono dimostrano; pochi operatori controllano le reti ed un numero ancor più limitato la tecnologia di elaborazione e trasmissione dell’informazione. Il mito della libertà e gratuità della rete è crollato. La possibilità di scrivere e passare informazioni da parte di chiunque con grande rapidità di diffusione riduce la possibilità di controllo e l’affidabilità [Rampini 2014]. Le bufale (fake news) corrono sulla rete ed influenzano anche la politica, come mostrano i casi della Brexit e l’interminabile discussione sull’influenza russa sulle elezioni americane e sull’elezione di Trump.

Indagini giornalistiche hanno evidenziato le possibilità di spionaggio nelle nostre abitazioni attraverso attrezzature “domotiche” fino a coniare l’espressione “capitalismo della sorveglianza” [Aluffi, 2019]. La creazione di disuguaglianza dovuta alla rete ed il rischio di “cyber-totalitarismo erano già stati evidenziati [Rampini 2014]. Ben oltre però può andare la sorveglianza con l’uso di telecamere e sistemi di riconoscimento facciale come intendono fare regimi non proprio liberali come quello cinese, che hanno già iniziato programmi di controllo del comportamento dei cittadini (o sudditi?) [Pieranni, 2019].

Anche senza arrivare a questi estremi, la consegna dei nostri dati in rete a sistemi come Facebook o Google, sia attraverso siti (cookies) o telefonini o biciclette a nolo (bikesharing) che registrano gli spostamenti, la privacy è sempre più sotto attacco, perché tali dati servono a definire i target pubblicitari, a guidare le nostre scelte di oggetti, viaggi, passatempi. I dati di un individuo possono valere fino a 50000€! [Foschini, Tonacci, 2019] Non solo, gli algoritmi (programmi sofware) che controllano e gestiscono le informazioni possono alterare pesantemente la nostra percezione delle situazioni come dimostrano casi estremi come quello di Ebbw Vale illustrato da Carole Cadwalladr [Cadwalladr, 2019] dove gli abitanti temono gli immigrati che non ci sono. Di conseguenza le prime reazioni, che forse cambieranno qualche cosa, da parte dell’EU con multe o negli USA dove si comincia a ragionare sulle procedure antitrust [Rampini, 2019].

Un ulteriore attacco alla democrazia portato da una tecnologia asservita alle classi dominanti viene dall’uso bellico dell’AI; già oggi droni teleguidati sono attivi sui vari campi di battaglia, dalla Palestina alla Libia, Yemen, Afganistan etc. Il pericolo viene dalla possibilità di realizzare macchine belliche automatiche, droni, carri armati etc, cui vengano assegnati obbiettivi militari, con il controllo affidato al solo algoritmo a bordo.

“I software non conoscono il confine tra il bene ed il male” dichiara Noel Sharkey professore emerito di AI all’università di Sheffield [Sironi, 2019] e l’uso di simili sistemi elimina la responsabilità di chi dovrebbe premere il famigerato bottone [Gonnelli, 2019]. Sarebbe opportuno eliminare il rischio di guerre scatenate dalle macchine, come nei film di alcune saghe di Hollywood.

Voglio quindi riprendere alcuni punti del decalogo proposto da Zagrebelsky [Zagrebelsky, 2007]:

La democrazia è relativistica, non assolutistica. I soli valori assoluti da difendere sono i principi su cui si basa, uguale dignità di tutti gli esseri umani e dei loro diritti. La democrazia è fondata sugli individui, non sulla massa. La massificazione degli individui e la loro spersonalizzazione è un pericolo mortale per la democrazia aprendo la strada alla tirannide. Così la spersonalizzazione degli operatori permette di usare la tecnologia contro l’uomo, come gli eserciti e le guerre insegnano. La democrazia è discussione, ragionare insieme. Affinché sia preservata l’integrità del ragionare, deve essere prima di tutto rispettata la verità dei fatti. La democrazia è basata sull’uguaglianza; è insidiata mortalmente dal privilegio. L’uguaglianza di fronte alle regole, alla legge, non l’omologazione. La democrazia implica la reversibilità di ogni decisione, esclusa quella sulla democrazia medesima. Questo principio diviene fondamentale con la tecnologia perché non sempre conosciamo tutte le implicazioni delle nostre azioni, in particolare sull’ambiente e sulla società. La democrazia è orientata da principi, ma deve imparare quotidianamente anche dalle conseguenze delle proprie azioni. I comportamenti devono essere responsabili In democrazia, nessuna deliberazione ha a che vedere con la ragione o il torto, la verità o l’errore. Non esiste alcuna ragione per sostenere, in generale che i più vedano meglio, siano più vicini alla verità dei meno. La ragione d’essere delle minoranze è la sfida alla bontà della deliberazione presa, nell’aspettativa di prenderne un’altra diversa. La democrazia è la forma di vita comune di esseri umani solidali tra loro. L’emarginazione sociale è contro la democrazia. L’alternativa alla solidarietà è un brutale darwinismo applicato alla vita sociale. Nel campo tecnologico significa che le tecniche vanno condivise e che le tecnologie sociali non debbono tagliare fuori nessuno, che si tratti di medicina o di energia o informatica. Anzi le tecnologie prescelte devono permettere la partecipazione e la condivisione, il contributo individuale o locale al bene comune. Essendo la democrazia una convivenza basata sul dialogo, il mezzo che permette il dialogo, cioè le parole, deve essere oggetto di cura particolare, come non si riscontra in nessuna altra forma di governo. Essendo la tecnologia la capacità di gestire i beni della terra, tutti dovrebbero parteciparne e comprenderla per evitare mistificazioni e rendite di potere legate all’appropriazione esclusiva della conoscenza e del suo uso.

Se la Politica sola può garantire una giusta allocazione e ripartizione delle risorse, possibile solo nella libertà; se la Politica sola può guardare al futuro cercando di controllare la tecnologia ed in particolare l’informatica; se la Politica così intesa non può essere decisa da uno o pochi uomini, poiché dovrebbero essere degli Dei capaci di vedere il bene comune, ebbene, dobbiamo costruire la Democrazia.

Bibliografia
G. Aluffi, State attenti il vostro aspirapolvere è una spia, Il Venerdì di Repubblica, 19 aprile 2019
C. Cadwalladr 2/5/2019 – www.ted.com/talks/carole_cadwalladr_facebook_s_role_in_brexit_and_the_threat_to_democracy?language=it
T.K. Derry, T.I. Williams, Storia della tecnologia, Boringhieri, Torino, 1977
G. Foschini, F. Tonacci, La nostra vita venduta all’asta dai mercanti della privacy, la Repubblica, 5 aprile 2019
R. Gonnelli, Mandare in guerra i robot intelligenti cancella le colpe, Il Manifesto 10 aprile 2019
W.W. Leontieff, La distribuzione del lavoro e del reddito, Le Scienze n.171, novembre 1982, p.148
H. Lin, Il software per la difesa antimissili balistici, Le Scienze n.210, febbraio 1986, p.13
L. Pennacchi, De valoribus disputandum est, Mimesis, Milano, 2018
S. Pieranni, Controllo e sicurezza gli occhi acuti cinesi, Il Manifesto 10 aprile 2019
F. Rampini, Rete padrona, Feltrinelli, Milano, 2014
F. Rampini, Assedio a Big Tech, la Repubblica A&F, 1 aprile 2019
A. Seldon, F.G. Pennance, Dizionario di economia, Mondadori 1979
F. Sironi, Fermate quei robot, L’Espresso 28 aprile 2019
G. Zagrebelsky, Imparare democrazia, Einaudi, 2007
N. Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli 1994