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Il caso della GKN nell’area metropolitana fiorentina mostra non solo l’arroganza e la mancanza di fair play della finanziaria angloamericana proprietaria dell’azienda, ma anche l’impreparazione del sindacato e della politica italiani. La proprietà ha già un altro stabilimento in Italia ed altri in Europa, con una prospettiva di forte riduzione del mercato nei prossimi anni. E’ ormai conoscenza comune che nel settore automobilistico il passaggio alle auto elettriche richiederà molto meno manodopera e componenti molto diversi. Il sindacato tedesco del settore, l’IG Metall, si è già posto il problema e contratta ammortizzatori sociali e differenti contratti di lavoro, prevedendo una perdita di circa il 35% dei posti di lavoro da qui al 2050. Secondo Comito (Il Manifesto 13/7/2021) nel 2019 in Italia avevamo 164 000 addetti alla componentistica auto concentrati soprattutto in Piemonte e Lombardia, ma il 54% sono aziende a gestione familiare, specializzate ma piccole. Nella classifica delle imprese mondiali nel settore compaiono la Pirelli e la Magneti Marelli oltre la 50esima posizione, ma sono controllate da capitali stranieri, le altre sono molto più piccole.
Non possono quindi per lo più effettuare gli enormi investimenti necessari per la conversione e l’innovazione. Inoltre esse dipendono fortemente da pochi acquirenti, ad esempio Stellantis, fusione di FCA e PSA (cioè di FIAT, Peugeot, FCA US, Opel, Citroën, Dodge, Lancia, etc), che possono cambiare fornitori facilmente sul mercato mondiale.
Il problema riguarda anche altri settori della produzione industriale italiana. Le aziende nei settori che tirano sono tutte piccole ed usualmente non consorziate tra loro, quindi alla mercé di pochi clienti, vale per la moda (Bologni, La Repubblica FI, 10/7/2021), per il settore cantieristico di Viareggio e quello delle fonti rinnovabili.
Le grandi aziende italiane che possono stare sul mercato sono di proprietà pubblica, come Enel, Snam, Leonardo.
Viene il dubbio che i cospicui finanziamenti EU per il PNRR siano legati a questo. Dovremmo quintuplicare la produzione di energia rinnovabile in un paio di decenni, ma i produttori di pale eoliche sono per lo più nel nord Europa, Cina, USA. I pannelli fotovoltaici vengono dalla Cina, ma anche dalla Germania, gli idrolizzatori industriali per produrre l’idrogeno verde sono a tecnologia tedesca. I treni ad idrogeno circolano già in Germania, con pile a combustibile lì prodotte.
In questo quadro si capisce perché la nostra politica continui a puntare sul cemento e le grandi infrastrutture, treni alta velocità, gas naturale, non realmente sulle rinnovabili. Anche il settore edilizio è in affanno, basta guardare alle difficoltà per trovare progettisti, aziende e materiali per utilizzare l’ecobonus 110%.
Non mancano le conoscenze, in molti settori abbiamo aziende di punta, mancano professionalità diffuse e capitalisti che guardino al futuro.
Purtroppo la storia italiana mostra come la nostra struttura industriale sia cresciuta sempre con l’aiuto dello Stato senza una vera visione di futuro. L’acciaieria di Taranto lo dimostra; nata per fornire acciaio statale alla allora fiorente industria privata degli elettrodomestici e delle auto, la più grande acciaieria d’Europa, costruita in un paese senza risorse energetiche e minerarie, è in agonia perché è caduto il mercato ed i privati cui è stata svenduta non hanno provveduto ad ammodernare i sistemi di produzione.
In brevissimo tempo dovremmo sviluppare industrie nel settore delle fonti energetiche rinnovabili e dell’elettronica, capaci di stare in un mercato globale estremamente competitivo.
Un nuovo miracolo italiano?

16/7/2021